di Andrea Santantonio
Messo di fronte all’icona biblica dell’anno, il primo input che mi viene è quello intorno all’ambiguità che talvolta ci caratterizza nell’essere cristiani. E non posso negare che la figura che più mi ha colpito del passo evangelico è quello dell’invitato che decide di andare alla festa senza la veste.
“tutti quelli che troverete, chiamateli”, questo è l’invito che ci viene mosso dal Re della parabola. Ci viene chiesto di andare ai crocicchi delle strade: ed è intorno a questo invito che trovo l’ambiguità del nostro essere cristiani. A volte non decidiamo se essere i servi che invitano o gli invitati che partecipano, non decidiamo se essere coinvolti interamente o se vogliamo lasciarci coinvolgere … ci fermiamo nel mezzo, senza decidere o più semplicemente preferiamo scegliere la strada più semplice. O peggio ancora decidiamo di essere servi – falsi – senza accettare l’invito che viene fatto a noi medesimi.
Voglio far partire la mia riflessione da una canzone di Daniele Silvestri, che mi ha colpito molto per la sua immediatezza e provocazione: il brano è Sornione.
Viviamo in un tempo in cui l’ambiguità sembra il manifesto dei nostri rapporti: si mi interesso di te, ma non troppo; ti voglio bene, ma ognuno al suo posto; ti amo da morire, “ma morire d’amore, no!” (cit. Neri per caso).
“A domandarti come stai, si corre sempre un certo rischio. Il rischio che risponderai e questo normalmente sai, non è previsto!”
Presi sempre dalla paura di entrare in contatto con gli altri, dalla paura che qualcuno alle nostre domande rituali ci possa rispondere compiutamente, cercando magari nei nostri occhi un invito al banchetto. Invece siamo abili giocatori d’azzardo, e quando veniamo chiamati preferiamo essere come gli invitati che andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari, convinti che si perde troppo tempo nel relazionarsi – seriamente – con gli altri, preferiamo coltivare i falsi idoli che la società ci impone, e se proprio rispondiamo alla chiamata, rispondiamo con un sorriso sornione, con un ghigno, quasi per fare un piacere a chi ci invita e partecipiamo pensando che non abbiamo bisogno di indossare la veste, di prepararci, di effettuare quello slancio decisivo.
“Di andare dritto proprio non mi va, girare intorno è la mia condizione.
ipo avvoltoio sulla verità, se guardo altrove non è per distrazione!”
E invece il Re è chiaro con l’invitato che si presenta senza l’abito alla festa: “legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre”. Il Regno di Dio, la Verità, non ammette mezze misure, non ammette ambiguità. Ed è questo il punto di svolta: siamo pronti ad accettare la Verità così com’è?
La Verità la si cerca intraprendendo un percorso: circumnavigando le situazioni, rivedendole continuamente, ritornandoci per guardarle da diverse prospettive. Insomma, accettando gli altri senza precondizioni (d’altronde il Re è il primo a non creare liste special all’ingresso). Il rispetto di questa regola è la condizione essenziale per ricevere e dare amore, per offrire e accettare il sostegno, pur correndo il rischio di andare incontro alla sofferenza, alla ribellione, all’odio.
“Amami...tu amami! (e certamente soffrirai, ti ribellerai, mi maledirai, mi dirai che ti rovinai, poi mi odierai, poi, forse, ci ripenserai) E osserva bene questo ghigno”
Così il nostro sorriso nel rispondere alla chiamata non sarà sornione, non illuderà falsamente chi ci chiama, ma sarà un sorriso autentico, che si apre al mondo, perché decide di entrare in relazione con gli altri e accetta di sentirsi dare una risposta agli scontati “come stai?”.
Il motto dell’anno ci vuole mettere dalla parte dei servi, dalla parte di quelli che chiamano: ma il problema è che non potremmo mai essere servi obbedienti e disposti a sacrificare la vita se nel momento in cui noi stessi veniamo invitati a partecipare al banchetto, lo facciamo in modo non autentico.
“Ma le regole le so, giocherò seriamente come so, come sai
altrimenti non potrei rispettare a fondo questo impegno e domandare ancora
il tuo sostegno!”
Allora il punto è quello di tendere verso la Verità che non vuole limiti: preso il tempo necessario per decidere e affilare le unghie e poi combattere, decidiamo senza misure di far parte di quel banchetto nuziale. Non è un party esclusivo ma è aperto a chiunque a buoni e cattivi; non richiede la nostra santità a priori, ma semplicemente una scelta consapevole e slegata dalle logiche della convenienza. Usciti da questa ambiguità dell’essere “cristiani da salotto” (cit. Papa Francesco) e scegliendo di amare senza misura, allora saremo davvero servi di questo Regno, e come dice Miano, festosi nello “spalancare le porte, invitare a entrare, far sentire il calore di una comunità in festa” e far esplodere la gioia dell’essere veramente cristiani, senza se e senza ma.
Vi saluto con questo epitaffio (lo ammetto, è un po’ macabro, ma significativo).
Ho osservato tante volte il marmo che mi hanno scolpito -
una nave con la vela piegata in riposo nel porto.
In realtà non rappresenta la mia destinazione, ma la mia vita.
Perché l’amore mi venne offerto, ma io fuggii dalla sua delusione
il dolore bussò alla mia porta ma ebbi paura,
l’ambizione mi chiamò, ma io ero atterrito dai suoi rischi
So che bisogna alzare le vele
e prendere i venti del destino,
dovunque spingano la barca.
Dare un senso alla vita può condurre a follia
ma una vita senza senso è la tortura
dell’inquietudine e del vano desiderio.
Edgar Lee Masters, Antologia di Spoon River