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Campo Scuola Giovani ...issimi di Azione Cattolica

 

Ciao ragazzi,
sono passati 3 giorni dall’avventura di Camaldoli.
Si ritorna alla solita vita, al tram tram di tutti i giorni, al caldo infernale che ci soffoca, ma soprattutto si ritorna nella propria stanza!!!
Chissà quante volte durante il campo abbiamo preso la nostra stanza tra le mani e abbiamo disegnato, scritto,cancellato, spostato, aggiunto…e questo sicuramente tra una miriade di sentimenti che hanno reso magico questo campo, “una magia che nessuno si è saputo spiegare, ma che tutti abbiamo sentito concretamente”.
Ora non ci resta che riprendere in mano questa stanza, aprire gli occhi, guardarsi dentro alla ricerca dell’io perduto, guardarsi intorno incontrando l’altro, guardare su, in alto…3msc, ascoltare la Parola che Dio ci rivolge e infine dirGli le nostre parole, e tutto questo avendo come sottofondo il profumo dell’amicizia che in questi giorni ci ha sedotto, tra sguardi, sorrisi, lacrime, carezze, abbracci…
Volete sapere come è fatta la mia stanza??? (sono sicuro che non diciate di no)
Innanzitutto c’è una porta mezza chiusa e mezza aperta, per poterla spalancare accogliendo chiunque voglia entrare e per poterla chiudere per vivere i miei deserti; non c’è il soffitto, in questo modo il cielo con le sue stelle (ogni riferimento è puramente casuale) abbraccia la mia stanza dandole la giusta tonalità e quando la sera, distrutto dal peso della giornata, mi butto sul letto e guardo questo cielo stellato, tra sorrisi e lacrime mi rendo conto di quanto è incredibile la mia vita; al centro ci sono tante sedie, per stare con l’altro, e un tavolo vuoto sul quale non ci sono cose artificiose e superflue, ma c’è la mia vita da donare; poi intorno, sulle pareti, non ci sono spazi vuoti perché in ogni angolo ci sono foto, poster, lettere, pagine di diario, tratti di storia che pennellano la mia vita (ci siete anche voi non vi preoccupate!); poi a lato c’è la mia scrivania sommersa da libri, fogli, foto, penne, matite (sono disordinatissimo!); vicino alla scrivania c’è uno specchio che mi permette di guardarmi ogni giorno per vedere che uomo sta venendo fuori (e vi assicuro che non si è mai rotto!); poi ci sono due crocifissi, uno sulla mia scrivania, in mezzo alla confusione e l’altro vicino al letto, in questo modo, quando apro gli occhi la mattina, è Lui il mio primo pensiero, “il primo pensiero che al mattino mi sveglia e l’ultimo desiderio che la notte mi culla”.
Dopo il campo ho ritoccato la mia stanza: accanto alla porta ho aggiunto un cartello con su scritto “WORK IN PROGRESS”. Questo cartello mi ricorda che la mia stanza, la mia vita (come ho sempre detto ai giovanissimi) non è una scatola con il nastro che una volta tolto ce l’hai davanti tutta bella confezionata, ma è qualcosa che ha bisogno di essere vista, rivista, davanti al quale bisogna sorridere, piangere, fare le giuste domande, trovare le risposte più vere…è qualcosa da modellare proprio come la “CRETA NELLE MANI DEL VASAIO”.
Vi abbraccio e porto ognuno di voi nella mia stanza…

       “creta nelle mani del vasaio”

 

lo slogan
apro gli occhi e ti penso

Gli Argomenti:
1
]__la percezione di sé … 
2]__la relazione con gli altri … 
3]__la percezione di Dio … 
4]__il riferimento con la Parola … 
5]__le forme di preghiera …

la mia
VERIFICA
agosto 2009

apro gli occhi e mi penso … e mi penso in te

Alla fine di un camposcuola mi chiedo, pur se mi ritengo una comparsa rispetto a chi annovera più anni di me, qual è la sensazione o il ricordo che più di ogni altro mi porto nella mia storia ,…, nella mia stanza.
Volendo descrivere questa seconda esperienza di campo non posso che partire dall’ultimo momento, quando abbiamo riportato il segno più significativo nella “stanza del gruppo”. Qui ho raffigurato uno spaccato assonometrico 
[un di_segno] della mia stanza interiore da cui parte una strada, un sentiero con rettilinei e curve, costeggiato da muri. La strada rappresenta la mia esistenza, i muri sono gli elementi fisici e mentali che a volte dividono, separano, creano incomprensioni, ma che in altre occasioni costituiscono una protezione, e in altre ancora rappresentano l’opportunità di stabilire nuove relazioni, alternative a quelle di comodo. Sul muro ho eseguito un taglio, una piccola apertura, una feritoia, che simboleggia il dubbio, la volontà, la fatica, le rinunce che devo fare per poter andare incontro all’altro ,…, che mi attende al di là del muro.
I sentieri che hanno attraversato quei muri 
[della diffidenza, dell’orgoglio …]incrociano la strada della mia esistenza, del mio viaggio interiore, formando tante croci. Queste, raccontano i momenti difficili e rappresentano le preghiere che alla fine della giornata rivolgo al cielo.

Il campo, inoltre, mi ha fatto scoprire la difficoltà di ignorare e superare ildisordine. È difficile immaginare, mentre si arreda la propria stanza, si organizza la propria vita, che un’altra persona possa modificarla, metterla a soqquadro, spostare gli oggetti, cambiare le proprie convinzioni ,…, cioè che una persona possa modificare quell’equilibrio interiore, forse apparente, generando confusione, subbuglio, agitazione ... 
Grazie alle attività svolte, alle situazioni che si sono venute a creare durante il campo ,…, alle persone con le quali mi sono confrontato e scontrato, ho iniziato a considerare seriamente il disordine che l’altro provoca nella mia stanza. Un disordine necessario perché il mio ordine abbia un senso nel costruire relazioni profonde, autentiche e significative.

Infine, nella mia storia porto l’esperienza delle due forme di preghiera: quella dei monaci camaldolesi, in cui le orazioni sono cadenzate per gustare più intensamente la Parola, e quella di don Gigi, della fraternità di Romena, in cui invece la Parola e le parole sono lo specchio delle persone che hanno vissuto momenti difficili.
La scheda della “mia stanza”, nella rappresentazione grafica e non ovviamente nei contenuti, è la fotografia in bianco e nero della stanza di don Gigi: uno spazio in cui c’è di tutto, momenti di crisi, di sosta, di ripensamenti, di cose da togliere e cose da aggiungere ,…, fino a diventare “porto di terra”, da dove ripartire come persone nuove, più concrete e con più stima di sé. 
Durante l’attività, “la preghiera spontanea”, ho avuto modo di affermare che i nostri limiti non devono essere una sconfitta personale ma l’occasione per ripartire con la fiducia e la consapevolezza che non siamo mai soli ,…, perché davanti e accanto a noi c’è, come guida e compagno di viaggio, Gesù.

Questo campo non è stato un’esperienza a sé ma bensì la storia di un gruppo in cammino, che cresce proiettandosi in avanti con uno sguardo rivolto al passato. È una storia che si rinarra. Guardando indietro e pensando al camposcuola dell’anno scorso trovo, infatti, delle similitudini, delle situazioni e parole che si ripetono, in quanto parte di un tempo che racconta la vita di ciascuno di noi.
Mi piace pensare al campo come ad un momento importante della nostra storia. Una storia che abbiamo scritto insieme, con la gioia, i rimpianti, i momenti di sconforto e le riprese dai “voli altissimi”. Una storia, insomma, che va dalle stanze ermetiche a quelle senza soffitto, dalle finestre serrate a quelle spalancate, dalle pareti scure a quelle piene di luce, dagli angoli appena visibili alla presenza di un Dio che dischiude orizzonti e sentieri nuovi da percorrere ...

A conclusione di questo intervento, che più che rappresentare la cronaca del campo è la mia personale esperienza, voglio ringraziare don Totò, Toni, gli educatori, i logisti, ma soprattutto i ragazzi e le ragazze per l’impegno, la partecipazione, l’entusiasmo… e per aver colorato il 
murocon i pensieri, i dubbi, le domande, le preghiere, le riflessioni, le ingiustizie, i rimproveri, le rabbie, le aspettative, le poesie, i saluti e i ringraziamenti. 

Consentitemi, inoltre, di rivolgere uno sguardo verso “quelli della notte”. Verso i/le ragazzi/e, i protagonisti, insieme agli altri, della storia infinita, con i/le quali ho trascorso, stando seduto sotto il cielo stellato di Camaldoli, attimi di confidenza, di ascolto e di vera amicizia: 
A chi parte, a chi prende il largo, auguro che la tenda, la nostra tenda, diventi vela ,…, capace di solcare mari importanti sia nei momenti di bonaccia che nei venti di tempesta; con la certezza che se ci limitiamo ad essere 
vela Dio vento,…, il destino di qualsiasi progetto non potrà che andare lontano. 
Buon viaggio, a chi parte e a chi resta.

una voce [dell’educatore] fuori campo
Francesco Sicuro

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