lo slogan apro gli occhi e ti penso
Gli Argomenti: 1]__la percezione di sé … 2]__la relazione con gli altri … 3]__la percezione di Dio … 4]__il riferimento con la Parola … 5]__le forme di preghiera …
la mia VERIFICA agosto 2009 apro gli occhi e mi penso … e mi penso in te
Alla fine di un camposcuola mi chiedo, pur se mi ritengo una comparsa rispetto a chi annovera più anni di me, qual è la sensazione o il ricordo che più di ogni altro mi porto nella mia storia ,…, nella mia stanza. Volendo descrivere questa seconda esperienza di campo non posso che partire dall’ultimo momento, quando abbiamo riportato il segno più significativo nella “stanza del gruppo”. Qui ho raffigurato uno spaccato assonometrico [un di_segno] della mia stanza interiore da cui parte una strada, un sentiero con rettilinei e curve, costeggiato da muri. La strada rappresenta la mia esistenza, i muri sono gli elementi fisici e mentali che a volte dividono, separano, creano incomprensioni, ma che in altre occasioni costituiscono una protezione, e in altre ancora rappresentano l’opportunità di stabilire nuove relazioni, alternative a quelle di comodo. Sul muro ho eseguito un taglio, una piccola apertura, una feritoia, che simboleggia il dubbio, la volontà, la fatica, le rinunce che devo fare per poter andare incontro all’altro ,…, che mi attende al di là del muro. I sentieri che hanno attraversato quei muri [della diffidenza, dell’orgoglio …]incrociano la strada della mia esistenza, del mio viaggio interiore, formando tante croci. Queste, raccontano i momenti difficili e rappresentano le preghiere che alla fine della giornata rivolgo al cielo.
Il campo, inoltre, mi ha fatto scoprire la difficoltà di ignorare e superare ildisordine. È difficile immaginare, mentre si arreda la propria stanza, si organizza la propria vita, che un’altra persona possa modificarla, metterla a soqquadro, spostare gli oggetti, cambiare le proprie convinzioni ,…, cioè che una persona possa modificare quell’equilibrio interiore, forse apparente, generando confusione, subbuglio, agitazione ... Grazie alle attività svolte, alle situazioni che si sono venute a creare durante il campo ,…, alle persone con le quali mi sono confrontato e scontrato, ho iniziato a considerare seriamente il disordine che l’altro provoca nella mia stanza. Un disordine necessario perché il mio ordine abbia un senso nel costruire relazioni profonde, autentiche e significative.
Infine, nella mia storia porto l’esperienza delle due forme di preghiera: quella dei monaci camaldolesi, in cui le orazioni sono cadenzate per gustare più intensamente la Parola, e quella di don Gigi, della fraternità di Romena, in cui invece la Parola e le parole sono lo specchio delle persone che hanno vissuto momenti difficili. La scheda della “mia stanza”, nella rappresentazione grafica e non ovviamente nei contenuti, è la fotografia in bianco e nero della stanza di don Gigi: uno spazio in cui c’è di tutto, momenti di crisi, di sosta, di ripensamenti, di cose da togliere e cose da aggiungere ,…, fino a diventare “porto di terra”, da dove ripartire come persone nuove, più concrete e con più stima di sé. Durante l’attività, “la preghiera spontanea”, ho avuto modo di affermare che i nostri limiti non devono essere una sconfitta personale ma l’occasione per ripartire con la fiducia e la consapevolezza che non siamo mai soli ,…, perché davanti e accanto a noi c’è, come guida e compagno di viaggio, Gesù.
Questo campo non è stato un’esperienza a sé ma bensì la storia di un gruppo in cammino, che cresce proiettandosi in avanti con uno sguardo rivolto al passato. È una storia che si rinarra. Guardando indietro e pensando al camposcuola dell’anno scorso trovo, infatti, delle similitudini, delle situazioni e parole che si ripetono, in quanto parte di un tempo che racconta la vita di ciascuno di noi. Mi piace pensare al campo come ad un momento importante della nostra storia. Una storia che abbiamo scritto insieme, con la gioia, i rimpianti, i momenti di sconforto e le riprese dai “voli altissimi”. Una storia, insomma, che va dalle stanze ermetiche a quelle senza soffitto, dalle finestre serrate a quelle spalancate, dalle pareti scure a quelle piene di luce, dagli angoli appena visibili alla presenza di un Dio che dischiude orizzonti e sentieri nuovi da percorrere ...
A conclusione di questo intervento, che più che rappresentare la cronaca del campo è la mia personale esperienza, voglio ringraziare don Totò, Toni, gli educatori, i logisti, ma soprattutto i ragazzi e le ragazze per l’impegno, la partecipazione, l’entusiasmo… e per aver colorato il murocon i pensieri, i dubbi, le domande, le preghiere, le riflessioni, le ingiustizie, i rimproveri, le rabbie, le aspettative, le poesie, i saluti e i ringraziamenti.
Consentitemi, inoltre, di rivolgere uno sguardo verso “quelli della notte”. Verso i/le ragazzi/e, i protagonisti, insieme agli altri, della storia infinita, con i/le quali ho trascorso, stando seduto sotto il cielo stellato di Camaldoli, attimi di confidenza, di ascolto e di vera amicizia: A chi parte, a chi prende il largo, auguro che la tenda, la nostra tenda, diventi vela ,…, capace di solcare mari importanti sia nei momenti di bonaccia che nei venti di tempesta; con la certezza che se ci limitiamo ad essere vela e Dio vento,…, il destino di qualsiasi progetto non potrà che andare lontano. Buon viaggio, a chi parte e a chi resta.
una voce [dell’educatore] fuori campo Francesco Sicuro
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