di Andrea Santantonio
tratto dal numero speciale di "NOI GIOVANI", giornalino a cura del gruppo giovani di AC
Può succedere che una sera non hai nulla da fare. Il piccolo cinema sottocasa (quello che solitamente programma i film ad almeno 5/6 mesi dall’uscita – tempestivo!) espone la locandina. L’invito di un’amica altrettanto “poco-indaffarata”. Andiamo!
“La mafia uccide solo d’estate”. Vediamo: il titolo stuzzica, l’autore un po’ meno: come fa un Pierfrancesco Diliberto – più noto al pubblico come Pif –, arrivato alla ribalta televisiva per le sue esilaranti copertine pre-Sanremo 2014 e al suo debutto da regista, a parlare in modo serio di mafia? Ne uscirà sicuramente la solita romanzata.
Il film scorre, tra un Totò Riina, dipinto alla Willy il Coyote man mano che vede fallire i suoi progetti malavitosi, e la serenità negli occhi dei “buoni” magistrati, consapevoli di combattere per la vera giustizia.
Il film parla di un ragazzo, Arturo, nato e vissuto al centro di Palermo, che fin dalla sua nascita è costretto – a sua insaputa – a far i conti con la mafia, che condiziona ogni momento della sua vita, dal concepimento al matrimonio. Il tutto intrecciato con la stagione delle stragi mafiose palermitane degli anni ‘80, da Dalla Chiesa, Giuliano, Chinnici, Pio La Torre per arrivare alle bombe di Capaci e di via D’Amelio.
Però senza voler tergiversare sul perché vi parlo di questo film, voglio arrivare direttamente al dunque: tutta la storia raccontata dal bravo Pif – e devo smentire i miei pregiudizi –, gira intorno ad un mondo che cerca di censurare ai bambini la bruttezza della mafia; basti pensare che tutti gli omicidi palermitani sono “per questione di femmine” (giustificazione che i “grandi” davano ai piccoli).
Il protagonista è mosso in tutto il film dal suo amore per Flora, sua compagna dai tempi delle elementari. Ma significativo è il percorso che il protagonista compie su sé stesso e sul suo approccio verso il “sistema”.
Dapprima un’ammirazione particolare per il presidente Giulio Andreotti, trattato quasi come una pop-star, come un magister vitae per il ragazzo in tutta la sua adolescenza; il presidente della DC diviene simbolo di quella omertà e brutalità del mondo degli adulti che lo seduce, tanto da portarlo ad ammirare esempi discutibili.
Poi il progressivo percorso di scoperta del fenomeno mafioso, delle sue infiltrazioni nella quotidianità e nelle vite di ciascuno di loro. Il cambio di vedute: Andreotti diventa l’emblema dell’ipocrisia di un popolo e di una comunità che ignora – consapevolmente – la presenza della malavita organizzata.
Il film spiazza, perché per la prima volta vuole raccontare la mafia slegando lo spettatore dalla mera narrazione dei fatti di quegli anni, con il sapiente uso dell’ironia, per focalizzare l’attenzione su quell’atteggiamento mentale, di “consapevole ignoranza”, dei palermitani e degli italiani in generale.
Due gli inviti che il film rivolge: il primo è racchiuso nel titolo stesso, “La mafia uccide solo d’estate” è solo l’atteggiamento di chi vigliaccamente ed in modo ipocrita non guarda la realtà della sua comunità, facendo finta che la vita deve continuare chiudendo semplicemente un occhio verso le azioni e gli interessi delle mafie organizzate (dalla mafia alla camorra, alla SCU alla ‘ndrangheta). Il secondo spunto è quello che l’esordiente (regista) Pif ci offre nel finale: Arturo ormai padre e sposo mostra al suo bimbo, fin dalla nascita, le targhe di quegli eroi che persero la vita e racconta le loro storie. Da genitore – ed educatore – rimuove per il suo bambino il velo di omertà che invece lo ha intrappolato nella sua infanzia/adolescenza tenendolo lontano dalla verità; e ci lancia quel messaggio che a noi, cristiani e antimafiosi, deve rimbombarci in testa: chi ama, educa!
IPSE DIXIT:
“Quando sono diventato padre ho capito due cose: la prima che avrei dovuto difendere mio figlio dalla malvagità del mondo la seconda che avrei dovuto insegnargli a distinguerla.”
[Arturo nel finale del film]